I Salumi Italiani

LE ORIGINI

Ogni zona dell’Italia ha scoperto autonomamente i suini e la possibilità di conservarne le carni tanto che se al nord la passione per il maiale è riconducibile ai Celti, nel resto del paese le tradizioni di salumeria sono legate agli Etruschi e ai Greci. Il risultato è che oggi, ogni angolo d’Italia produce salumi diversi tra loro, infatti non tutti i prosciutti, le coppe, le pancette e i salami sono uguali. Possono avere condimenti diversi, stagionature differenti, variazioni di gusto legate al clima del territorio o al tipo di lavorazione.

Nel corso dei secoli sono nate anche prestigiose scuole di salumeria artigianale. Tra le più famose c’è quella di Norcia, in Umbria, da cui deriva il termine “Norcino”, con il quale si indica il macellaio-salumiere in tutta Italia, e la “Norcineria”, l’arte di lavorare salumi ed insaccati. Con la parola “salume” si indica normalmente un prodotto della lavorazione della carne di maiale. Il termine si può, però, tranquillamente estendere anche a preparazioni simili realizzate con carni di altri animali (oca, cinghiale, manzo, asino, cervo…). Per quanto riguarda il maiale, i salumi possono essere prodotti con intere parti dell’animale (per esempio il prosciutto) o con impasti di carne tritata e insaccata in budelli (mortadella, salame… ). In quest’ultimo caso è più appropriato chiamarli “insaccati”.

SALUMI

….”offriva i bocconi il porcaio, primizie di tutte le membra, su grasso abbondante, e li buttava nel fuoco, spargendo fior di farina: il resto lo fecero a pezzi, li infilarono su spiedi, li arrostirono con cura; poi tutto ritrassero, e gettavano i pezzi in mucchio sui deschi….”
Omero – Odissea

Tra i cibi più graditi al palato, hanno radici antichissime nella tradizione gastronomica italiana e sono ben rappresentati da tipologie a marchio DOP o IGP che garantiscono qualità delle carni e accurate tecniche di produzione.

Ogni zona dell’Italia ha scoperto autonomamente i suini e la possibilità di conservarne le carni tanto che se al nord la passione per il maiale è riconducibile ai Celti, nel resto del paese le tradizioni di salumeria sono legate agli Etruschi e ai Greci. Il risultato è che oggi, ogni campanile d’Italia produce salumi diversi tra loro, infatti non tutti i prosciutti, i salami, le coppe e le pancette sono uguali. Possono avere condimenti diversi, differenti stagionature, variazioni del gusto legate al tipo di lavorazione o al clima. Nel corso dei secoli sono nate prestigiose scuole di salumeria artigianale. Tra le più famose c’è quella di Norcia, in Umbria, da cui deriva il termine “Norcino”, con il quale si indica il macellaio – salumiere in ogni angolo d’Italia, e la “Norcineria, l’arte di lavorare salumi ed insaccati. Con la parola “salume” si indica normalmente un prodotto della lavorazione della carne di maiale. Il termine però, si può tranquillamente estendere anche a preparazioni simili realizzate con carni di altri animali (cinghiale, manzo, oca, cervo, asino…).

Per quanto riguarda il maiale, i salumi possono essere prodotti con intere parti dell’animale (il prosciutto per esempio) oppure con impasti di carne tritata e insaccata in budelli (mortadella). In questo caso è più appropriato chiamarli “insaccati”.

 

PROSCIUTTI ITALIANI

Nelle regioni settentrionali, grazie al clima più freddo, la quantità di sale che i “norcini” devono impiegare per facilitare la stagionatura del prosciutto, è minore. Questo conferisce alla carne un gusto delicato e dolce. Nelle regioni centro-meridionali, il clima più caldo obbliga all’impiego di un maggior quantitativo di sale, marcando così in maniera decisa il gusto finale.

Le cosce devono avere un peso di circa 11 chili, vengono raffreddate per un giorno, quindi rifilate.

La salagione avviene a secco, con un composto di sale e pepe mescolati ad erbe aromatiche come salvia e rosmarino.

La stagionatura avviene ad una temperatura tra i 12 e i 25°C per 10/12 mesi. Un soggiorno più lungo, per esempio 18 mesi, conferisce grande pienezza e persistenza al gusto.

Si consiglia di tagliarlo un po’ più spesso.

 

PROSCIUTTO DI SAN DANIELE

Questo prosciutto crudo stagionato, ottenuto dalla coscia di suini “pesanti Italiani” macellati in età avanzata, prende il nome da un colle morenico situato a pochi passi dalle prime alture delle Prealpi e lambito alla base dal corso del fiume Tagliamento, nel cuore del Friuli Venezia Giulia.

La produzione del prosciutto deriva dall’usanza celtica, affinata poi in epoca romana, di conservare le carni con l’aggiunta di sale. Il San Daniele è riconoscibile dalla peculiare forma a chitarra dovuta alla conservazione del piede del suino, detta “zampino”. Ha un gusto dolce e delicato, dal profumo intenso, con un inconfondibile retrogusto. Nella concia, al suino viene aggiunto esclusivamente sale marino, senza alcun conservante o additivo. Sono ben sette le fasi di lavorazione per ottenere il San Daniele, per una durata complessiva di tredici mesi. Tra coloro che, nei secoli, hanno apprezzato il prosciutto San Daniele, il patriarca di Aquileia, di cui San Daniele era feudo, che fissò la sua residenza estiva sull’omonimo colle, i Vescovi riuniti a Trento per il concilio tridentino, Napoleone che, ottenuto il Friuli, fece incetta non solo di codici miniati ma anche di prosciutti.

SALAME DI VARZI

La zona di produzione del salame di Varzi si trova in Lombardia, nell’Oltrepò Pavese. Comprende, oltre al comune di Varzi, numerosi altri comuni in provincia di Pavia. Dall’epoca dei Longobardi ad oggi, la ricetta è rimasta la stessa: carne di puro suino, sale, pepe nero, vino rosso filtrato ed un infuso di aglio per aromatizzare. Nei secoli il tipico salame di Varzi divenne famoso e ricercato al punto da essere sempre presente sulla tavola dei feudatari della zona, i marchesi Malaspina. Attraverso la via del sale, il salame di Varzi prese la strada delle corti d’Europa, raggiungendo la mensa di Maria Teresa d’Austria e conquistando i palati più illustri in Francia.

 

Qualche fetta di salame si mangia sempre volentieri, specialmente se lascerete ai vostri amici il piacere di tagliarlo personalmente, servendolo su un piccolo tagliere.

SPECK DELL’ALTO ADIGE

Lo speck dell’Alto Adige è un prosciutto crudo, leggermente affumicato e stagionato, prodotto nell’intero territorio della provincia autonoma di Bolzano. In perfetta sintonia con la posizione geografica mediana, è un prodotto più mite e delicato dei crudi ed affumicati rustici del nord Europa, ma più deciso e caratteristico rispetto ai crudi dolci tipicamente italiani. Lo speck è un prodotto di origine germanica; le più antiche testimonianze risalgono agli inizi del 1300, quando erano già utilizzate le tecniche per la produzione di un salume simile. La sua eccezionale qualità è sempre derivata dall’essere preparato con carni accuratamente scelte, tenere e saporite. I pezzi nobili sono trattati in salamoia con erbe e aromi, dove riposano per almeno quindici giorni. La stagionatura delle carni era resa possibile dall’aria secca e fresca dei luoghi di produzione. Quanto all’affumicatura, essa nasce probabilmente dall’antica usanza di appendere le carni in alto nelle grotte, per sottrarle alle incursioni degli animali selvatici: le volte si saturavano del fumo dei fuochi e ciò conferiva alle carni un sapore particolare, assicurandone una maggior durata e una migliore digeribilità. Il disciplinare di produzione impone il metodo di lavorazione tradizionale e naturale tramandato per generazioni di padre in figlio, vieta l’utilizzo di ogni metodo industriale come la siringatura e pretende dai quattro ai sei mesi di stagionatura, un’affumicatura leggera ed un contenuto di sale inferiore al cinque per cento. Due annotazioni riguardo alla lavorazione: le carni di maiale vengono disossate e rifilate, fino ad ottenere le tipiche forme piatte e aperte dette “baffe”; la mescolanza degli aromi è l’unica fase nella quale il rigido disciplinare lascia ai vari consorziati la facoltà di caratterizzare il proprio prodotto. Tutto ciò consente di distinguere lo speck dell’Alto Adige da qualsiasi altro prosciutto e la garanzia si manifesta attraverso il marchio con la pettorina.

enogastronomia

LARDO DI ARNAD

Il lardo di Arnad, oltre ad essere molto antico (citato in un documento del 1570), è, insieme a quello di Colonnata, Il lardo italiano più famoso e saporito. Viene prodotto solo ad Arnad, in Valle d’Aosta, e vanta il riconoscimento DOP. Il suo colore bianco rosato, l’inconfondibile aroma speziato, il gusto delicato e unico, sono il risultato dell’utilizzo di carni selezionate e di un accurato processo di lavorazione. I suini devono raggiungere il peso di almeno centosessanta chili, con una rigorosa dieta a base di castagne ed ortaggi. La preparazione prevede una stagionatura minima di tre mesi; il lardo viene ricoperto a strati alterni con sale ed erbe aromatiche (alloro, salvia, rosmarino, chiodi di garofano, cannella, ginepro, noce moscata, achillea).

enogastronomia

 

PROSCIUTTO DI PARMA

E’ uno degli ambasciatori del gusto italiano nel mondo ed è riconosciuto dalla corona a cinque stelle marchiata a fuoco. Il protocollo di produzione è molto rigido: solo alcune razze di maiali provenienti da undici regioni del centro e del nord Italia. La lavorazione deve essere svolta solo in stabilimenti ubicati nel territorio della provincia di Parma, a sud della via Emilia, ad almeno cinque chilometri di distanza da questa, fino ad un’altitudine di novecento metri. Il maiale è certificato e tatuato dall’allevatore, così da permettere di risalire all’origine, deve avere più di nove mesi di vita e pesare almeno centocinquanta chili. Anche qui la salagione viene effettuata senza l’utilizzo di sostanze chimiche, conservanti o additivi. Trascorsi dieci mesi dall’inizio della lavorazione (dodici per prosciutti di oltre nove chili), viene impresso il marchio a fuoco della “corona a cinque punte”.

L’origine della parola “prosciutto” deriva dal latino perexsuctum, letteralmente “asciugato”, in riferimento alla stagionatura lenta e paziente ad opera del vento e del sole.

Il prosciutto cotto, invece, è preparato con la carne disossata della coscia e in alcuni tipi con la carne disossata della spalla. La stagionatura, di un mese circa, avviene dopo la cottura del prosciutto. La carne rosa pallido, contornata da uno strato di grasso inferiore a quello del prosciutto crudo. Il valore commerciale è più basso rispetto a quello del crudo in quanto le esigenze di conservazione sono di gran lunga inferiori.

enogastronomia

SALAME BRIANZA

Anche il salame Brianza, come tutti i salumi in generale, era già conosciuto ed apprezzato fin dall’epoca longobarda.

L’origine del prodotto è legata alla diffusione della suinicoltura lombarda, ma anche alle particolari condizioni climatiche della regione che, proprio nei territori collinari, sono ideali per la conservazione delle carni suine. E’ un salame caratterizzato dalla presenza minima di spezie e prodotto esclusivamente nelle provincie di Lecco, Como e Milano.

enogastronomia

Ricetta: UN GOLOSO APERITIVO

Impastare burro e capperi tritati dopodichè spalmare su fette di pane tagliato a crostini. Aggiungere salame DOP e scaglie di Parmigiano Reggiano.

Vino consigliato: un Alto Adige Lagrein Rosato

 

BRESAOLA DELLA VALTELLINA

Come molti altri prodotti simili, la bresaola della Valtellina nasce dalla necessità di conservare la carne attraverso la salagione. E’ un prodotto ottenuto da carni di manzo, salate e stagionate, che viene consumato crudo. Ha un gusto gradevole, moderatamente saporito, assolutamente mai acido.

La caratteristica che distingue la bresaola della Valtellina da altri prodotti simili, molto diffusi nella vicina Svizzera, è la sua morbidezza. Le prime testimonianze relative alla sua produzione risalgono al quindicesimo secolo, ma probabilmente la data di nascita è molto più antica.

enogastronomia

 

COPPA PIACENTINA

Prodotta nella provincia di Piacenza, dove questo ed altri salumi hanno dato vita ad un vero e proprio culto gastronomico. A rendere i salumi di Piacenza così particolari sono le condizioni climatiche come l’aria, la temperatura costante, l’elevato tasso di umidità e non ultime, la tradizione millenaria e la passione dei produttori che nel 1974 hanno fondato il Consorzio Salumi Piacentini. Ha ottenuto la DOP per alcuni suoi prodotti, quali la coppa piacentina, il salame e la pancetta.

I suini destinati a diventare coppa piacentina devono provenire da allevamenti dell’Emilia Romagna o della Lombardia, essere abilitati alla produzione del prosciutto di Parma e San Daniele ed avere una stazza non inferiore ai centosessanta chili. La coppa piacentina è ricavata dai muscoli cervicali, salati, legati e stagionati per almeno sei mesi. Prima di essere messa in commercio, sulla coppa piacentina viene apposto un contrassegno che ne garantisce l’autenticità. A suffragare l’origine antica dell’allevamento dei suini e della lavorazione delle loro carni abbiamo i mosaici di epoca medievale della chiesa di San Savino a Piacenza con il rito dell’uccisione del maiale e gli statuti piacentini del 1320 con il carniere dei prezzi delle “carnes de porco”, sia fresche che salate. Già a quell’epoca, gli insaccati di Piacenza avevano raggiunto le corti dei reali di Francia e Spagna. Il cardinale Giulio Alberini, primo ministro di Filippo V, inviava in dono la coppa per entrare nelle grazie dei grandi del tempo.

MORTADELLA DI BOLOGNA

E’ Bologna la capitale di questo salume, ma oggi la mortadella viene prodotta anche in diverse regioni del nord e del centro Italia, Lazio compreso.

Per l’insaccato bolognese si utilizzano tagli nobili di carne triturati e ridotti ad un’emulsione cremosa attraverso tre distinti passaggi nelle relative macchine tritacarne. Vengono quindi aggiunti cubetti di grasso più duro, prelevati solo dalla gola del suino che hanno un sapore più dolce e pregiato di ogni altra parte del maiale. Il vero battesimo della mortadella è la cottura, che prevede l’utilizzo di apposite stufe ad aria secca, con tempi che variano da poche ore fino ad un’intera giornata. Alla mortadella tradizionale, aromatizzata con mirto, pepe, sale e alloro, si aggiungono quella più famosa che prevede l’utilizzo dei pistacchi e l’altra, più saporita, del peperoncino.

Fu il cardinal Farnese, nel 1661, a far proclamare a Bologna la ricetta da seguire, anche se le sue origini sono ancora più antiche. Secondo i ricercatori, questo prodotto esisteva già nel 1376. Se ne parla infatti nei documenti della “ Corporazione dei Salaroli Bolognesi” che aveva come stemma un mortaio col suo pestello. Il nome”Mortadella” deriverebbe, secondo alcuni studiosi, proprio da questo strumento usato un tempo per far poltiglia della carne e delle spezie da insaccare. Non ci sono limiti alle misure dell’insaccato: si va dalle famose mortadelline a quelle da vero “guinness dei primati”, che possono raggiungere anche i mille chili.

PROSCIUTTO DI CINTA SENESE

E’ un prosciutto unico, un autentico capolavoro della salumeria italiana, con oltre venti mesi di stagionatura, realizzato con le carni di Cinta Senese, una razza di suino italiano che stava rischiando l’estinzione. Si tratta di suini più magri e più piccoli rispetto alle razze più conosciute, adatti al pascolo e non all’allevamento intensivo.

La cinta senese è il più “toscano” dei maiali toscani, è una razza molto antica, di pelo scuro, caratterizzata da una fascia bianco-rosata (la cinta) che cinge il torace, il garrese, le spalle e gli arti anteriori. Tra coloro che hanno fortemente creduto nel recupero della razza, sono i titolari dell’Antica Macelleria Falorni di Greve in Chianti che l’hanno gestita per ben nove generazioni, così come l’allevamento a San Piero D’Uzzano, dove i maiali di cinta vivono liberi, allo stato brado, in oltre trenta ettari di boschi recintati. Oltre al prosciutto, degni di nota sono il salame e la finocchiona, salume tutto toscano speziato con semi di finocchio selvatico. Infine il “rigatino di cinta”, ovvero la pancetta e il filetto.

CULATELLO DI ZIBELLO

Per il suo nome, questo salume venne bandito da tutti i testi della cucina italiana. La spudoratezza di Gabriele D’Annunzio e la passione di Giuseppe Verdi liberarono il culatello da un destino di censura. Pare che la sua origine sia dovuta all’errore di un giovane norcino che lavorò la parte “sbagliata” della coscia di maiale. L’ideale per una maturazione ottimale del culatello (mai inferiore a dieci mesi) è costituito dall’ambiente umido, freddo-umido, nebbioso, afoso della sponda emiliana del Pò. Prodotto con la parte alta della coscia di suino, il culatello rischia l’estinzione a causa dell’industrializzazione che predilige i maiali cresciuti negli allevamenti intensivi, con l’abbandono delle razze più indicate per la produzione di questo salume (Mora Romagnola, Nera Parmigiana e Borghigiana).

ZAMPONE DI MODENA

La zona principe di questo piatto è quella modenese e reggiana, anche se ormai si è estesa a tutto il centro nord. E’ il prodotto di una miscela di carni suine insaccate nella cotenna dell’arto anteriore del maiale. Lo zampone spesso rievoca la cucina “povera” durante gli anni più difficili della storia di Modena e Reggio Emilia, poiché nella sua preparazione si utilizzavano più cotenne che carni. Secondo una leggenda lo zampone fece il suo ingresso nella storia nel 1511 a Mirandola. La città era assediata dalle truppe di Papa Giulio II che non volle lasciare al nemico i suini rimasti. Un cuoco ebbe la geniale intuizione di insaccare le parti più magre nella pelle delle zampe anteriori del maiale, al fine di scongiurarne l’altrimenti inevitabile marcescenza e conservare preziose scorte necessarie per organizzare un’ardua resistenza nei confronti del nemico.

Oggi se ne produce una gran varietà di “tipologie”, con l’utilizzo della muscolatura striata, grasso, cotenna, sale, pepe ed aromi diversi in base alle zone di produzione. La regolamentazione sull’utilizzo degli additivi vieta i polifosfati. Viene proposto fresco o precotto. Quando il medesimo impasto dello zampone viene insaccato non nella zampa, bensì nel budello, prende il nome di cotechino ( da cotenna).

 

LARDO DI COLONNATA

E’ prodotto esclusivamente a Colonnata, frazione montano-collinare del comune di Carrara, in Toscana. La parte adiposa della schiena del maiale viene tagliata a fette di almeno tre centimetri che, alternate a strati di sale marino, pepe e spezie, vengono poi chiuse in contenitori di marmo (chiamati “conche”) e lasciate stagionare per almeno sei mesi. Inventato dai contadini-lavoratori del paese per sopportare al meglio la vita assai dura nelle cave di marmo.

 

SOPPRESSATA CALABRA

La soppressata calabra si ottiene solo con carni di suini nati in Calabria o in Sicilia, Basilicata, Puglia, Campania, ma allevati in Calabria almeno dall’età di quattro mesi. E’ un tipico prodotto del sud; l’impasto di carne è ricavato dal prosciutto e dalla spalla del suino, mentre il grasso è scelto nella parte anteriore del lombo, vicino al capocollo. Il tutto viene impastato ed insaporito con pepe, crema di peperoni, vino ed infine insaccato e lasciato stagionare per circa due mesi. Giacomo Casanova riservava alla soppressata un posto di primo piano nei suoi numerosi banchetti.

 

IL PROSCIUTTO DI VILLAGRANDE  (Sardegna)

Viene prodotto con le migliori cosce di suino sardo, con un’attenta selezione delle carni suine, nell’alimentazione degli animali che crescono in un ambiente naturale e incontaminato. Vengono usate le migliori cosce di pezzatura superiore, lavorate secondo le antiche tradizioni e ricette locali (qui i maiali arrivano a pesare anche cinque o sei quintali).

Il tempo totale della lavorazione del “Prosciutto Crudo Villagrande” è compreso dai dodici ai sedici mesi. La stagionatura media è di quattordici mesi. Tempi superiori, oltre i diciotto mesi, portano al prodotto “Riserva”, rivolto ai consumatori più esigenti.

E’ un prosciutto con pochi grassi e molte proteine nobili e la rinomanza di questi maiali risale agli antichi: la compagnia dei fornitori di maiali di Roma aveva nell’isola un’agenzia commerciale, protetta dagli imperatori, allo scopo di fornire i prosciutti alla superba capitale. Le sue carni sono amabilmente dolci ma anche sapide, mai salate e inoltre ha un gusto forte.

Il Prosciutto Villagrande assieme a quello di Talana e quello di Urzulei, rappresentano l’Ogliastra e una produzione di altissimo pregio.

 

DEL MAIALE NON SI BUTTA VIA NIENTE

La macellazione del maiale, nella cultura contadina, era considerata una festa. Si procedeva con metodo per preparare prelibatezze che scandivano il tempo dell’intera annata: salsicce, salami, capocollo, coppa di testa (imperdibile insaccato dove finiscono testa, ossa, cotenne, orecchi, codino, zampetti e tutto quello che avanza), guanciale, lardo, ciccioli (una vera golosità sempre più rara), cotechini, zamponi, pancetta, mortadelle, finocchione, sopressate, goletta, lonzino, il capocollo di Martina Franca, la ventricina del Vastese, il prosciutto del Casentino, e ancora, lo Jambon de Bosses, il salame di Fabriano e la mortadella della Val di Non. Non basterebbe un libro per elencare tutto quello che si può fare con il maiale.

Ricetta: ZAMPETTI DI MAIALE ALLA PIEMONTESE

Ingredienti:

Quattro zampetti di maiale, burro per friggere, pane grattugiato, aceto di ottimo vino, chiodi di garofano, 2 uova, sale.

Lessare in acqua salata gli zampetti, dopo averli puliti e bruciacchiati, unire al brodo la cipolla nella quale sono stati infilati 6 o 7 chiodi di garofano.

Quando gli zampetti saranno cotti, levarli dal brodo, lasciarli leggermente raffreddare quindi disossarli e scolarli bene. Tagliare la carne a pezzi regolari, mettere in un recipiente di porcellana o altro materiale non poroso e coprirli con acqua e aceto in parti uguali. Lasciarli macerare dalle 8 alle 10 ore, fino al completo assorbimento del liquido. Asciugare bene i diversi pezzi, passarli nelle uova sbattute e poi nel pane grattugiato. Friggerli in abbondante burro ben caldo.

Gli zampetti così preparati acquistano un leggero sapore acidulo e sono ottimi.

Vini: un Grignolino del Monferrato ma è ottima anche una Bonarda dell’Oltrepò Pavese.

 

POESIA

C’era un maiale che amava il rossetto,

il mare d’inverno, la liquirizia e il letto,

giocava tutto il giorno a rimpiattino

dimenticando di mangiare persino lo stracchino.

Diventar grande voleva dire a tutti i costi

e non certo finire come certi arrosti,

ma i suoi cosciotti così ben rotondi

ispiravan pensieri per nulla profondi.

Il nostro maiale ebbe un’idea,

fece molto sport e andò in apnea

rise alla faccia di quei benpensanti

che, non trovando ciccia, si morsero i guanti

 

SALUMI D’OCA

Le carni di oca sono oggetto di un rinnovato interesse, per merito di artigiani del gusto che ne hanno saputo valorizzare le specificità gastronomiche, nel segno della migliore tradizione.

L’oca, con il passare del tempo divenne l’emblema della tradizione contadina povera, grazie all’eccezionale convenienza del suo allevamento.

Le zone maggiormente indirizzate all’allevamento delle oche sono le regioni del nord Italia: la Lomellina, la Bassa Vicentina, il Casalese, il Cuneese, il Friuli, in particolare la provincia di Udine.

Le razze autoctone italiane sono diverse e si mantengono di buon livello. Tra queste la razza Piacentina, la Romagnola, la Pezzata Veneta, l’oca di Lomellina, la Grigia di Padova.

I prodotti di sola carne d’oca, senza alcuna aggiunta di suino o bovino, mettono d’accordo le religioni cristiana, ebraica e musulmana.

 

PROSCIUTTO D’OCA

Il prosciutto d’oca si ottiene dalla coscia del volatile, salata, aromatizzata con spezie e alloro, quindi maturata in salamoia per alcune settimane e poi stagionata all’aria per due / cinque mesi.

 

SALAME GIUDEO

In Friuli si produce il cosiddetto salame giudeo, interamente d’oca, che pare abbia tratto origine dalla necessità delle antiche comunità ebraiche di trovare un’alternativa ai salumi di maiale, proibiti dalla loro religione.

 

IL BATU’

Il Batù (battuto) è preparato con carni d’oca sgrassata, disossata, tagliata a pezzettini, salata e tenuta per una notte in una particolare salsa ( savorina ), prima di essere messa a conservare in un barattolo di vetro o di coccio, coperta dal proprio grasso fuso. Il Batù è ottimo servito semplicemente come antipasto, o, meglio ancora, scaldato e usato come condimento per la pasta o la polenta.

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