I Formaggi Italiani
LE ORIGINI
Non è dato sapere dove nacque il primo formaggio né a quale popolo sia attribuibile la sua “invenzione”. Oggi la produzione casearia, pur utilizzando supporti tecnologici, si basa sempre sulla professionalità e l’esperienza del casaro nel lavorare i tre elementi base: latte, caglio e sale, con gli stessi principi con cui si ottenevano i caci nella preistoria.
Il formaggio è uno dei simboli dell’identità locale almeno quanto l’edificio comunale o il campanile. In Italia ci sono più di 400 tipi di formaggi, anche se molti stanno rischiando l’estinzione.
Molti sono i formaggi che hanno trovato tutela nelle denominazioni europee (in particolare nella DOP, la Denominazione d’Origine Protetta, la più prestigiosa) . In Italia esistono diverse associazioni come Slow Food, che difendono i formaggi meno famosi dalla scomparsa definitiva.
Il formaggio, come pure i salumi, venivano prodotti in Italia già prima dell’Ottavo secolo a.C.. Al nord sono stati i Celti a svilupparne la produzione e a introdurre la transumanza alpina, ovvero il trasferimento del bestiame dalla pianura alla montagna durante l’estate; nel centro Italia sono stati soprattutto i Romani a dare impulso all’arte casearia, mentre in Meridione è stata la tradizione greca ad avere il sopravvento. Lo scopo per il quale nacque il formaggio non era né per la gioia dei buongustai né per le serate di degustazioni , ma per la necessità di conservare il latte che non si poteva consumare subito.
L’Italia dei formaggi
“Italia Knowing” non vuole certo citare tutto il vasto mondo della produzione casearia italiana, ma “raccontare” solo alcuni prodotti rappresentativi con informazioni e immagini suggestive per gli appassionati.
“Castelmagno”
E’ una delle perle della tradizione casearia piemontese. Un grandissimo formaggio da degustazione, specie nelle forme più stagionate (almeno sette mesi). Va detto, comunque, che oggi non è facile trovare un vero Castelmagno, dal momento che il più delle volte, quello comunemente commercializzato, per soddisfare le richieste del mercato viene sottoposto ad un periodo di maturazione troppo breve.
Le origini del Castelmagno sono molto antiche, risalgono al tempo degli antichi romani. Il suo nome deriva dall’omonimo paese alpino situato a 1100 metri in Val Grana, in provincia di Cuneo, sua unica terra d’origine, ma è anche strettamente legato al Santuario dedicato a San Magno, un soldato romano martirizzato in queste montagne.
Alla fama di questo formaggio si accompagnano molti aneddoti e leggende, tra le quali quella che avrebbe voluto Cuneo in guerra con Saluzzo per il possesso di trenta forme di Castelmagno. Pare che la guerra sia durata tanti anni quante le forme di formaggio contese. Un’altra leggenda narra che Carlo Magno sia stato rimproverato perché mangiava solo il “cuore” del formaggio e invitato ad assaggiare la parte più scura vicino alla crosta. Dal quel momento il Castelmagno non mancò mai sulla tavola del re.
Questo nobile formaggio si abbina perfettamente con un Barolo, ma con un Albana di Romagna passito DOCG , vino liquoroso, si crea un abbinamento insolito che può offrire grandi sensazioni e piccanti retrogusti.
“Parmigiano Reggiano”
Un formaggio che vanta ben otto secoli di storia ed il gusto che lo caratterizzava nel Medioevo si è mantenuto inalterato fino ai giorni nostri, perché ancora oggi si fa con gli stessi ingredienti e secondo il medesimo procedimento di un tempo.
Questo formaggio stagionato è ottenuto con il latte della mungitura serale e quella della mungitura del mattino. A scaglie è utilizzato come aperitivo, antipasto, accostato al miele, alla frutta fresca come pere, mele e kiwi o alla frutta secca come le noci. Una volta realizzata la forma, la stessa rimane immagazzinata per uno o due anni e più. Tra le citazioni, quella del Boccaccio, nel Decamerone, a proposito del paese di Bengodi; una del 1200 che testimonia che all’epoca, questo formaggio veniva prodotto nello stesso modo in cui è fatto ancora oggi; l’ultima del frate Salimbene che nelle sue cronache del 1500 afferma che la pasta già veniva condita con del parmigiano grattugiato.
“Gorgonzola”
E’ nato in Piemonte e in Lombardia nel Medioevo, ha conquistato il mondo, varcando i confini europei per invadere addirittura gli Stati Uniti ed il Canada, fino a sbarcare con successo in Giappone. Il luogo d’origine è l’omonima cittadina alle porte di Milano, da cui prese il nome. C’è chi affida la nascita del Gorgonzola alla sbadataggine di un mandriano che, avendo dimenticato di lavare l’attrezzatura per lavorare il latte, unì la cagliata della sera con quella del mattino seguente. Non leggendaria ma documentata, per quanto singolare, è la vicenda che vide la cittadina di Gorgonzola salvata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, proprio in quanto produttrice del famoso formaggio di cui lo stesso Churchill era assai ghiotto. Si ricava dal latte vaccino intero pastorizzato a cui vengono aggiunti fermenti lattici, caglio e spore di penicillina. Dopo tre-quattro settimane di stagionatura, grossi aghi metallici penetrano la forma di Gorgonzola affinchè l’aria entri e sviluppi le colture della muffa. Di qui le caratteristiche venature blu-verdi. A stagionatura ultimata, la forma viene tagliata in due e ulteriormente frazionata in pezzi più piccoli, rivestiti da alluminio goffrato con impressa a rilievo la caratteristica “G” del Consorzio, per salvaguardarne tutte le caratteristiche organolettiche durante il trasporto.
“Pecorino di Fossa”
E’ romagnolo, prodotto nella cittadina di Sogliano al Rubicone, ai confine sud della Romagna. Percorrendo solo pochi chilometri si arriva nelle Marche dove, nel paese di Talamello, si produce un formaggio analogo, chiamato “Ambra di Talamello”. In entrambi i casi si tratta di pecorino o di formaggio misto di pecora e mucca prodotto in estate che, alla fine di agosto, viene infossato nelle tipiche cavità tufacee della zona. In queste grotte molto antiche viene lasciato riposare fino al 25 novembre, giorno di Santa Caterina, quando, secondo la tradizione, viene tolto dalle fosse. La pratica dell’infossamento del pecorino risale al 1400 ed è dovuta, secondo la leggenda, al tentativo dei contadini di nascondere i viveri per salvarli dai saccheggi degli invasori.
“Pecorino Toscano”
Prodotto in Toscana ed in alcune zone dell’Umbria e del Lazio, è un formaggio di origini antiche, preparato esclusivamente con latte ovino intero, cotto e stagionato da un minimo di venti giorni per il tipo di pasta tenera e per almeno quattro mesi per il tipo a pasta semidura. Viene marchiato ad inchiostro nel tipo fresco ed a fuoco nel tipo stagionato. E’ citato per la prima volta nella “Naturalis Historia” di Plinio il Vecchio, nel primo secolo dopo Cristo ma, fin dai tempi degli Etruschi, la Toscana era già conosciuta per l’allevamento delle pecore. Ebbe successso sulle tavole di Lorenzo il Magnifico e di Papa Pio II.
“Caciocavallo Silano”
Il Caciocavallo Silano si produce in un’area dell’Appennino, che ha nell’Altopiano della Sila il punto di riferimento. Prodotto con latte vaccino fresco è caratterizzato da un’altissima digeribilità, tanto da essere particolarmente indicato nelle diete dei bambini, anziani e convalescenti. Il termine “Caciocavallo”, deriva dalla tradizione di appendere una coppia di forme di cacio, legate tra loro, a cavallo di un sostegno. Una pratica molto usata in Italia che sembra sia stata esportata anche all’estero, soprattutto in Oriente, dove esistono ancora oggi diversi formaggi che completano la stagionatura proprio appesi in questo modo. E’ uno dei formaggi più antichi della storia d’Italia e lo ritroviamo citato addirittura da Ippocrate nel ‘500 avanti Cristo. Secondo la tradizione, con i residui della lavorazione di questo formaggio pare fossero realizzate delle bambole da collezione.
“Formaggio e…magia” (dai Libri del gusto)
“Brus”
La preparazione del Brus è avvolta da un alone magico e se è vero che alla base delle antiche credenze popolari vi è sempre un fondo di verità, allora sarà opportuno seguire alcuni consigli…
Mai preparare il Brus quando la luna è calante; mai rimestare la crema in senso antiorario; mai contravvenire alla regola secondo cui il numero delle rotazioni per rimestare l’impasto dev’essere multiplo di 3, numero perfetto, come dev’ essere anche il numero dei pezzi di formaggio messi a macerare.
Occorre dunque tagliare in tre pezzi una Robiola fresca, quindi introdurla in un coccio con l’aggiunta di un bicchierino di vino bianco secco e metterla a riposare in un luogo buio e fresco dopo aver accuratamente chiuso il contenitore. Trascorsi 9 giorni, bisogna rimestare il tutto in senso orario con un numero di rotazioni multiplo di 3 e aggiungere ancora Robiola (anche in questo caso badando che il numero dei pezzi sia multiplo di 3) e vino bianco secco. Passati altri 9 giorni, si rimesta di nuovo la pasta e poi si ripone il contenitore. Dopo un mese si procede a un ultimo rimestamento, si aggiunge un bicchierino di grappa e si mette a riposare la pasta per altri 15 giorni, trascorsi i quali il Brus sarà, come sostiene un vecchio detto piemontese, “pi fort che l’amour” (più forte dell’amore).