Liguria

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“E’ la Liguria una terra leggiadra.
Il sasso ardente, l’argilla pulita,
s’avvivano di pampini al sole.
E’ gigante l’ulivo. A primavera appare dovunque la mimosa effimera”…
Queste parole, tratte dalla poesia di Vincenzo Cardarelli, basterebbero già come biglietto da visita di questa terra aspra e preziosa al tempo stesso.
La Liguria è custode geloso di grandi bellezze naturali e culturali, tutte da scoprire. Valli che si nascondono al mare e monti spesso pietrosi che precipitano sulla costa tra slarghi di verdi orti e uliveti, strette terrazze di vigneti dai quali si ottengono vini che riflettono sia la regione montagnosa, sia quella marittima, riservando agli estimatori non poche sorprese.

Questa regione, dal territorio complesso, sembra voglia farsi scoprire a poco a poco e così anche la sua cucina, strettamente legata a tradizioni, della quale i liguri, misteriosi ma semplici e schietti, pare intendano conservare i segreti. Il mare e i monti uniscono in questa gastronomia i sapori forti, quasi salmastri, di tutte le cucine marinare, le fragranze delle erbe e dei prodotti dell’orto, tra i quali, naturalmente, regna il basilico. E’ una cucina singolare, un compendio di semplicità, soprattutto per gli ingredienti: erbe e verdure, pesce fresco solitamente di non grande pregio, carni di tagli secondari o animali da cortile. Si fa raffinata, invece, per i procedimenti con cui le materie prime vengono amalgamate e manipolate, in modo quasi misterioso e segreto. Fragranze talvolta appena accennate, mai violente e sempre in grande equilibrio armonico, vengono esaltate dalla leggerezza di un pregiatissimo olio extravergine di oliva, che accarezza le pietanze, rispettandone gli intensi profumi senza smorzarne la freschezza.

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La cucina ligure è una cucina al passo coi tempi, quasi dietetica. Ci sono pochi piatti pesanti, si prediligono pesci, sostanze magre e verdure, piuttosto che abbondanza di carni e grassi animali.
Il grande estro sta nel combinare nei modi più impensati le materie prime. Ne sono un esempio il pesto, famosissimo condimento base di cui esistono diverse varianti, ma l’importante è sempre la presenza dell’aglio, del basilico, del formaggio sardo e dei pinoli; il “tocco” a base di carne , sedano, cipolla, prezzemolo, funghi e pomodoro, vino bianco e spezie; il “bagnun” di Riva Trigoso, l’”agliata” con aglio, mollica di pane e aceto. Tutte salse con ingredienti che ritroviamo dovunque: nel condimento per le “trenette”, nel vero minestrone alla genovese, carico di verdure e di erbe aromatiche delle colline, nel “cappon magro”, piatto di grande maestria, imponente e spettacolare, ricco di ogni sorta di verdure, disposte a strati sulle gallette leggermente struffate di aglio a cui si alternano ogni genere di pesci, dal pesce cappone alle ombrine, dai totani ai gamberi, al musciame, alle ostriche, alle aragoste, il tutto cosparso di salsa verde piccante con olive, spicchi di uova sode, acciughe, prezzemolo e pinoli. Un vero capolavoro gastronomico che insieme alle “buridde” e le “seppie in zimino” sono un chiaro esempio dell’arte di unire pesci e verdure. Una salsa meno nota, ma non meno appetitosa, è la salsa di noci, usata soprattutto per i “pansoti in salsa di noci, dove le dolci erbe mitigano il gusto pungente dell’aglio, della noce moscata e del parmigiano. Un altro piatto prelibato è costituito dalle “tomaxelle alla ligure” dal ripieno sostanzioso che farcisce le tenere fettine di vitello. Molto conosciute sono le varie torte e farinate, prima fra tutte la “torta pasqualina”, fatta di sfoglie leggere e soffici che racchiudono un trito di bietole, quagliata, farina, burro, uova e formaggio e cotta nel forno. Più semplice la “fainà”, una torta di ceci e la “paniscia” fatta anch’essa con farina di ceci, limone e olio, successivamente fritta nell’olio; in alcuni casi si arricchisce con un soffritto di cipolle, olive nere e acciughe. Il “ciuppin”, una zuppa di pesce con l’ottima materia prima offerta dal mare, variante delle famose zuppe di pesce, tipiche di tutte le località marinare italiane, prevede che, in un brodo aromatico e piccante, abbondino molte varietà di pesci e crostacei. Le varie tecniche di ripieno sono impiegate per paste e verdure ma anche per appetitosi piatti di pesce come i totani ripieni o la “coa pinna” di baccalà. Sebbene la cucina ligure non vanti molte ricette di fritture, i “frisceu” sono particolarmente famosi per la tradizione di friggere ogni genere di ingredienti: animelle, rognoni, fegatini e pesci, oltre alle fritture dolci alla genovese, con farina bianca, semolino, uova, scorza di limone, burro e zucchero semolato.
I dolci sono una vera e propria sinfonia di dolcezza: si va dal “castagnaccio” al “paciugo” alla “sacripantina”, passando per “canestrelli”, “amaretti” e “baci”, benchè l’orgoglio della regione sia l’antica tradizione della frutta candita, con la quale i Liguri adornano anche il loro “pan dolce”, una sorta di panettone a pasta dura, piatto e largo.

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In questa terra la vite prospera sulle caratteristiche terrazze e sulle colline, offrendo una produzione qualificata di vini bianchi e rossi di buon tono. In passato, vini come il Rossese di Dolceacqua, il Vermentino di Diano Castello, il Pigato dell’albenganese, il Cinqueterre, erano già famosi, ma buona parte della ricchezza enologica ligure era costituita da centinaia di Bianchi, Rosati e Rossi chiamati “nostralini”. Venivano così definiti per evidenziare la loro tipicità riguardo al luogo di origine.
Da ponente a levante si “raccontano” vini e vitigni come: Alicante, Ormeasco, Massarda, Aramon o San Benedetto, nella zona di imperia; Barbarossa, Biancospino, Buzzetto di Quiliano, Granaccia, Lumassina, Rapallino, in provincia di Savona; Bianchetta, Albarola, Arsaiga, Bosco, Ciliegiolo, Coronata, Valpolcevera, nel genovesato; Moneglia, Nè, Santa Margherita, Scimiscià, Verici, nel levante Genovese; Albachiara, Ancellotta, Arcola, Bolano, Ertaverde, Groppolo, Ruzzese, Sarticola e, un quanto mai più adatto all’occasione, il Viva l’Italia, nello Spezino. Questi sono solo alcuni dei nomi che compongono la ricchezza vitivinicola ligure perchè i tipi di uva e la produzione di vino contava, e conta tutt’oggi, su moltissime altre varietà di vitigni, più o meno famosi e sebbene molti di essi si siano estinti o quasi.

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CU-A PANSA PINNA SE RASUNNA MEGIO
(Con la pancia piena si ragiona meglio)

AGLIATA

Questa salsa di origini medievali sostituì il “Garum”, un condimento degli antichi romani ottenuto con pesci macerati nel sale con erbe aromatiche, succo d’uva acerbo, aceto, succo d’arancia o vino, senza grassi animali o vegetali. L’agliata invece, può essere considerata, insieme al pesto, una delle prime salse unte, con olio d’oliva. Una romantica leggenda vuole “l’aiè”, un cibo di bordo, che sceso a terra conobbe il basilico e se ne innamorò, dando così vita al famoso “pesto”.

Ingredienti: un tuorlo d’uovo.
Due spicchi di aglio di Vessalico fresco.
Aceto.
Mollica di pane.
Vino bianco secco.
Sale.

Pestare l’aglio e la mollica di pane nel mortaio fino ad ottenere un composto omogeneo; si aggiunge il sale e si diluisce con aceto e vino bianco. Il composto ottenuto viene fatto bollire per alcuni istanti prima di essere servito.

In provincia di Imperia, in Valle Arroscia, l’agliata si prepara invece con l’olio extravergine di oliva al posto dell’aceto e del vino.

Ingredienti: un tuorlo d’uovo.
Due spicchi di aglio fresco di Vessalico.
Olio extravergine di oliva.
Sale.

Si procede pestando l’aglio nel mortaio ottenendo un composto omogeneo; si aggiunge un pò di sale e il tuorlo d’uovo, ottenendo una crema densa e soda come vuole la tradizione.
Una particolare attenzione deve essre fatta durante la montatura del tuorlo che, come per la maionese, vuole che l’olio sia aggiunto molto lentamente, a filo.

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RAVIOLI ALLA LIGURE

Ricette molto simili pare fossero già presenti nella cucina babilonese, egizia, greca e romana. Sicuramente esistevano nel Medioevo. Il Boccaccio, infatti, ne parla nella novella di Calandrino del Decamerone e, in un documento del 1182 si fa menzione di un contadino del savonese intento a preparare i ravioli per pranzo. Quelli liguri sono facilmente riconoscibili per la presenza delle boraggini che li rende unici, al punto che nel 1841 vennero definiti la pasta da minestra più squisita del mondo.

Dosi per 4 persone.

Tempo di preparazione: due ore abbondanti.

Ingredienti per la pasta: 500 gr di farina.
Tre uova.
Acqua e sale.
Ingredienti per il ripieno: 500 gr di manzo di vitello.
300 gr di polpa di vitello.
Cervello di vitello.
50 gr di schienali.
Una animella.
Un mazzo di boraggini.
Una scarola.
Mollica di pane.
4 uova.
Un pò di parmigiano.
Un poco di spezie.
Maggiorana.
Sale.

Si fanno bollire scarola e borragine per circa 5 minuti, quindi si premono affinchè diano tutta l’acqua. In una casseruola si rosola il manzo di vitello nel burro, poi si fanno bollire 300 gr di polpa di vitello per 10 minuti; mettere un cervello di vitello in acqua bollente e, tolta la pelle, unire agli schienali e all’animella tritando il tutto, magro, polpa e le erbe minuziosamente, pestate a poco per volta nel mortaio per ottenerne una pasta. Successivamente la si mette in un recipiente e si aggiungono 4 uova fresche, avendo cura di sbatterle bene e un pò di mollica di pane inzuppata nel brodo o nel sugo di vitello, si aggiunge il parmigiano, le spezie, la maggiorana tritata finissima, il sale e si finisce l’operazione rimestando bene il composto che sarà il cuore del raviolo.
Stemperare la farina con un pò di acqua tiepida e unire le uova rimanenti, quindi tirare una sfoglia larga e sottile. Si dispone il ripieno in palline uguali sulla metà della sfoglia lungo linee orizzontali e separate una dall’altra da uno spazio di due o tre dita; coprire quindi con un’altra sfoglia e separare i ravioli tagliando la pasta con una girella. Una volta che i ravioli sono asciutti si buttano pochi per volta in acqua bollente, assicurandosi che non sia troppo salata. Si condiscono con sugo di carne e una spolverata di parmigiano oppure con burro e salvia o con sugo di funghi.

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TORTA PASQUALINA

Nella prima metà del XVI secolo fu scritto che le torte pasqualine genovesi erano una vera golosità, “piacevano più che all’orso il miele”. Queste torte “pasqualinhe” erano conosciute come “gattafure” perchè le gatte le “furavano” e anch’esse ne erano ghiotte. Anticamente venivano cotte dal fornaio e per riconoscere la propria torta dalle altre si usava incidere con il coltello l’anagramma di famiglia sull’orlo…. vezzo e funzionalità dei genovesi.

Dosi per 6 persone

Tempo di preparazione: un’ora e mezzo circa.

Ingredienti per la sfoglia: 500 gr di farina.
2 cucchiai di olio.
1 bicchiere di acqua fredda.
Ingredienti per il ripieno: 8 uova.
400 gr di spinaci.
400 gr di erbette.
1 cipolla.
300 gr di “prescinseua”.
50 gr di parmigiano.
1 manciata di mollica di pane bagnata nel latte e strizzata.
20 gr di funghi secchi.
1 cucchiaio di maggiorana fresca tritata.
Spezie miste.
Olio, sale e pepe.

Impastare la farina con l’olio, una presa di sale e l’acqua fino ad ottenere una pasta morbida e liscia. Dividerla in tanti pezzi quante saranno le sfoglie (una volta le massaie sovrapponevano fino a 33 sfoglie ma era già una gran cosa riuscire a sovrapporne 20. Oggi, più semplicemente, si sovrappongono dalle tre alle sette sfoglie), dopodichè disporle su di una madia infarinata e coprendole con un canovaccio. Lasciar riposare per circa un’ora.
Si fanno bollire le verdure per 10 minuti, si scolano e si strizzano bene. Rosolare nell’olio i funghi precedentemente ammollati e tritati con la cipolla, quindi unire le verdure tagliate finemente. Toglierle dal fuoco e lasciarle intiepidire. Battere 4 uova con il parmigiano, la mollica del pane e la quagliata (“prescinseua”). Unire l’impasto alle verdure, aggiungere spezie e sale.
Ungere una teglia, disporvi poi una sfoglia sottile lasciando che la pasta debordi; ungere e ripetere l’operazione più volte. Versare il ripieno, livellarlo e crearvi quattro crateri dove rompere altrettante uova a cui saranno aggiunti sale e pepe. Successivamente si sovrappongono al ripieno quanti più strati di sfoglia si è in grado di fare e si soffia con una cannuccia tra uno strato e l’altro. Ripiegare verso l’interno il bordo e sigillare con le dita. Ungere con una piuma o un pennello da cucina l’ultima sfoglia ed infornare a 180°C per 45 minuti, sino a quando la sfoglia non sarà bella dorata e comincerà a rompersi.

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MANDILLI AL PESTO (Lasagne alla ligure)

Tempo di preparazione: un’ora.

Dosi per 6 persone.

Ingredienti: 600 gr di lasagne.
50 gr di basilico fresco.
30 gr di formaggio pecorino sardo.
60 gr di parmigiano.
20 gr di pinoli.
3 spicchi d’aglio.
Olio extravergine di oliva.
Sale grosso.

Si mettono a lessare le lasagne in abbondante acqua salata. Pulire le foglie di basilico con un canovaccio piuttosto che con acqua. Si fanno leggermente tostare i pinoli nel forno. In un mortaio di marmo mettete i pinoli e l’aglio e pestateli insieme con un pestello di legno. Battete e stirate le foglie di basilico, aggiungete il parmigiano, il pecorino e il sale. Alla fine l’olio, che deve essere versato lentamente, a filo e un poco alla volta. Man mano che l’olio viene assorbito, si continua ad aggiungerne, fermandosi quando il pesto non ne assimila più. Messo il tutto in una terrina, scolate le lasagne al dente e conditele con generose cucchiaiate di pesto.
La tradizione vuole che il pesto sia il tipico condimento delle trenette ma viene usato molto per il minestrone al quale deve essere aggiunto poco prima di toglierlo dal fuoco.

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BAGNUN

E’ una ricetta tipica del Levante Ligure, in particolare delle zone di Sestri Levante e Riva Trigoso. Era un piatto dei marinai, un cibo sempre fresco, fatto con ingredienti semplici e di facile reperibilità. Il “bagnun” era la colazione tradizionale dei pescatori che veniva consumata durante il meritato riposo alla fine di una notte di pesca.

Tempo di preparazione: una quarantina di minuti.

Ingrdienti: 1 Kg di acciughe.
1 spicchio di aglio.
Un mazzetto di prezzemolo.
Basilico.
Cipolla.
500 gr di pomodori da sugo.
Un bicchiere di vino bianco secco.
Olio extravergine di oliva.
4 gallette del marinaio.
Sale.

Si puliscono le acciughe strappando loro la testa che trascinerà lisca ed interiora. Tritare tutte le verdure ad eccezione del basilico e soffriggere in olio. Tritare i pomodori e unirli al soffritto, regolare di sale e cuocere per altri dieci minuti. Disporre le acciughe nel tegame e proseguire la cottura per altri dieci minuti. Mettete le gallette spezzate nelle fondine e sistematevi le acciughe con il loro sugo lasciando riposare qualche minuto prima di servire.

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TOMAXELLE

Questi deliziosi involtini nacquero come il “piatto del giorno dopo”, infatti per il ripieno si usavano gli avanzi di arrosti o simili. Inizialmente i sughi erano bianchi, poi si arricchirono con i funghi secchi e il pomodoro. Il termine “tomaxelle” deriva dal latino “tomaculum”, che tradotto significa salsicciotto; questa è infatti la forma dei prelibati bocconi.

Dosi per 4 persone

Tempi di preparazione: 50 minuti circa.

Ingredienti: 400-500 gr di fettine di vitello.
150 gr di polpa di vitello.
Olio e burro.
La mollica di un panino.
Una tazza di brodo.
20 gr di pinoli.
30 gr di funghi secchi.
Maggiorana.
Prezzemolo e aglio.
Un pò di parmigiano.
3 uova
Sugo di carne.

Si scotta la polpa e il magro di vitello in acqua corrente. Si pestano tutti gli ingredienti nel mortaio oppure nel frullatore, mantenendo interi solo alcuni pinoli. Unire al preparato il parmigiano e le uova sbattute, rendendo l’impasto della giusta densità per essere spalmato sulle fettine di carne, precedentemente ben battute. Si avvolgono le fette di vitello chiudendoli con stecchini o filo bianco in modo che il ripieno non fuoriesca. Rosolare gli involtini nel burro, spruzzandoli di vino bianco e lasciando evaporare. Si procede facendo cuocere le tomaxelle nel sugo di carne alla genovese, aggiungere i funghi ammorbiditi nell’acqua tiepida e, volendo, un cucchiaio di conserva di pomodoro. Cuocere a fuoco lento e allungare il sugo con il brodo. Se risultasse troppo liquido, addensare il sugo con un cucchiaio di farina. Cuocere per 15 minuti e servire.

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PACCHERI ALLA GENOVESE

Dosi per 4 persone

Ingredienti: 400 grammi di paccheri
1 Kg 1/2 di cipolle.
600 gr di carne di manzo.
150 gr di prosciutto crudo (gambetto).
Un bicchiere di vino bianco.
50 gr di parmigiano.
Una noce di burro.
Olio extravergine di oliva.
Sale e pepe.
Per la guarnizione: 4 ciuffi di basilico.
Parmigiano.

Tagliare la carne di manzo in quattro tronchetti e ridurre a pezzettini il prosciutto crudo. Rosolare entrambi in un tegame con mezzo bicchiere di olio, sfumare con il vino bianco e quando sarà evaporato aggiungere le cipolle, affettate sottilmente, un pizzico di sale e di pepe. Continuare la cottura per circa due ore a fuoco bassissimo, fino a quando le cipolle non si saranno disfatte quasi del tutto. Se il sugo dovesse asciugarsi troppo, bagnare con un poco di acqua.
Bollire i paccheri in abbondante acqua salata, scolarli al dente e saltarli nel tegame con il condimento. Mantecarli infine con il burro e il parmigiano grattugiato. Spolverare ogni piatto con abbondante parmigiano grattugiato, disporvi i paccheri sistemando nel centro un tronchetto di manzo scaloppato e guarnire con un ciuffo di basilico.
(Ricetta Osterie della tradizione)

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STOCCAFISSO ALLA BADALUCCHESE

Nell’antico paese di Badalucco, in provincia di Imperia, si narra che i suoi abitanti resistettero ad un lungo assedio dei Saraceni grazie alle loro scorte di stoccafisso ed è storia vera che riuscirono a respingere sul mare gli aggressori.

Dosi per 6 persone

Tempi di preparazione: cinque ore circa.

Ingredienti: 1 Kg di stoccafisso oppure 2 Kg se già ammollato.
1 litro di brodo.
250 ml di olio extravergine di oliva.
Prezzemolo.
4 spicchi d’aglio.
1 cipolla media.
4 acciughe sotto sale.
20 cl di vino bianco secco.
120 gr tra nocciole, pinoli e gherigli di noci tostatiin padella e pestati nel mortaio.
Un amaretto pestato.
100 grammi di olive nere taggiasche.
30 gr di funghi secchi.
Peperoncino.
Sale.

Dopo aver tritato aglio, prezzemolo e cipolla Si fanno rinvenire i funghi in acqua tiepida, si strizzano bene e si tritano anch’essi. Si fa lo stesso con le acciughe, dopo averle pulite. Si soffrigge il tutto insieme ai pinoli, alle nocciole, alle noci e all’amaretto pestato, regolando con pochissimo sale. Si irrora con vino bianco, meglio se Vermentino, e dopo avere aggiunto le olive, si sarà ottenuto un ottimo intingolo. Tagliare lo stoccafisso in grossi pezzi, che se secco dovrà essere stato ammollato per alcuni giorni. Lessarlo per un quarto d’ora in acqua salata, quindi togliere la pelle, le spine e le lische. In una casseruola a bordo alto, disporre un primo strato di pezzi di stoccafisso e si prosegue alternando l’intingolo al pesce. E’ bene lasciare un vuoto di 7-8 centimetri al centro, creando un “pozzetto” che dovrà essere sempre pieno affinchè con il liquido, di tanto in tanto si possa irrorare lo stoccafisso e se necessario aggiungere del brodo. Cuocere a fuoco lento per circa 4 ore.

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CAPPON MAGRO

Questo piatto povero nasce in tempi remoti dalla necessità di riutilizzare gli avanzi. Piatto trionfale che con l’abilità dei cuochi si esprime in splendide coreografie. La tradizione lo vuole un piatto della vigilia natalizia, dove i commensali “devoti” che dovevano astenersi dal consumare carne, trovavano profonda soddisfazione per la grande ricchezza degli ingredienti e la bellezza della sua forma, ingannando, in un certo qual modo, la morigeratezza imposta dalla Chiesa.

Tempi di preparazione: 4 ore

Dosi per 8 persone.

Ingredienti: un pesce cappone di circa 1,5 Kg.
Un’aragosta di gr 800 circa.
150 gr di acciughe salate.
150 gr di musciame (uova essicate di pesce).
16 gamberi.
16 ostriche.
400 gr di fagiolini freschi.
300 gr di scorzonera (tipo di verdura).
300 gr di patate.
100 gr di funghi sott’olio.
50 gr di pinoli.
Un piccolo cavolfiore.
Il cuore di un bel sedano bianco.
4 carote.
4 carciofi.
Una grossa barbabietola.
6 gallette di semola.
6 spicchi d’aglio.
La mollica di due panini raffermi.
2 limoni.
6 uova intere.
Una manciata di prezzemolo.
2 cucchiaiate di capperi in salamoia.
Un decilitro di aceto di vino.
Due decilitri di olio extravergine di oliva.
Sale e pepe.

Rassodare le uova facendole bollire per circa nove minuti. Strofinare l’aglio sulle gallette, inzuppatele in acqua alla quale avrete aggiunto qualche cucchiaiata di aceto e disponetele su un largo piatto da portata.Mondare tutte le verdure cioè i fagiolini, il cavolfiore, le patate, le carote, il sedano bianco, la barbabietola e lessatele insieme in un unico recipiente, fatta eccezione della scorzonera ed i carciofi che devono essere lessate in un recipiente a parte. In recipienti separati, lessare l’aragosta e il pesce cappone. Lavate e sgocciolate i capperi, metteteli in un mortaio e aggingete le 8 olive snocciolate, il prezzemolo mondato e lavato, le acciughe lavate e diliscate, i pinoli, due spicchi d’aglio, due tuorli di uovo sodo e la mollica di pane inzuppata di aceto. Pestare il tutto a lungo fino ad ottenere un impasto omogeneo al quale si unirà, un poco alla volta, un decilitro di olio extravergine di oliva e due cucchiaiate di aceto. Liberare l’aragosta dal suo involucro e diliscare il pesce; ridurre la polpa di entrambi a piccoli dadi, metterli in una terrina e condirli con olio, sale e succo di limone.
Lessare i gamberi in acqua salata e acidulata con succo di limone per pochi minuti e aprire le ostriche. Irrorare con l’olio le gallette e, dopo aver regolato di sale e pepe, coprirle con uno strato di musciame tagliato a fettine sottili. Condire quindi con un pò di salsa preparata e continuare alternando strati di verdure, salsa e pesce fino all’esaurimento di tutti gli ingredienti. Infilzare su stecchi di legno ostriche e gamberi alternati a fettine di uova sode, olive snocciolate e funghetti ed infilarli nel preparato. Ricoprire il tutto con la rimanente salsa e sistemare al centro, come decorazione, il guscio dell’aragosta o, eventualmente 5-6 gamberi disposti a stella.

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Un Cappon Magro “da Guinnes” al Festival della Cucina Italiana e delle Regioni.

Chef Renato Grasso
vincitore del premio Oscar della Cucina Italiana 1987/1988.

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AMARETTI DI SASSELLO

Questo biscotto secco, dal gusto dolce-amaro, che gli conferisce il nome, è diffuso e amato in tutta la Liguria e non solo. Nel paese di Sassello, questo morbido dolce di pasta di mandorle, mantiene invariata la sua ricetta sin dall’Ottocento e viene festeggiato tutti gli anni in una sagra a lui dedicata.

Tempi di preparazione: 1 ora.

Ingredienti: 1500 gr di zucchero.
1 Kg di mandorle dolci pelate.
500 gr di albume d’uovo.
200 gr di armelline amare.

Pulire le mandorle dopo averle immerse in acqua calda e strofinarle con canovaccio. Macinare le mandorle e le armelline, aggiungere lo zucchero e le chiare d’uovo montate a neve sino ad ottenere un impasto morbido e pastoso. In caso l’impasto fosse troppo consistente aggiungere un’altra chiara d’uovo montata. Mettere la pasta in un sacco a poche e colare il composto su una teglia da forno in tanti medaglioni dal diametro di circa 5-6 centimetri. Cospargere i medaglioni con lo zucchero vanigliato ed infornare per circa mezz’ora a 170°C.

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TORTA SACRIPANTINA

E’ un dolce della profonda tradizione genovese. Di origini non proprio antichissime, la sacripantina si presenta con una caratteristica forma a cupola ed al suo interno si celano strati di Pan di Spagna imbevuti di caffè, liquore, crema di burro e cacao. Il suo nome “sacripantina” riporta a Sacripante, il personaggio di Ariosto, dalla corporatura robusta e dal carattere esuberante, proprio come questa torta.

Tempi di preparazione: Un’ora e mezzo circa.

Ingredienti: pandispagna.
6 rossi d’uovo.
150 gr di zucchero.
250 gr di burro.
150 grammi di cioccolata fondente oppure 50 gr di cacao amaro.
Vino Marsala secco.
Maraschino.
Brandy.
200 gr di zucchero a velo.
200 gr di amaretti o di biscotti secchi.
Una tazza di caffè.
150 gr di canditi.

Si taglia il pandispagna in modo da ottenere 6 dischi uguali. Si rimuovere dal bordo parte della crosta che dovrà essere pestata insieme agli amaretti o ai biscotti. A bagnomaria si amalgamano i rossi d’uovo, lo zucchero ed il Marsala sino ad ottenere uno zabaione. Lasciare raffreddare.
Si procede lavorando con un cucchiaio di legno il burro con lo zucchero a velo fatto cadere da un colino, in modo da ottenere un impasto cremoso da aggiungere allo zabaione. Dividere la crema in due parti: in una si versa il caffè, nell’altra la cioccolata fondente ridotta in scaglie o il cacao e i canditi. Si provvede a rivestire uno stampo con la pellicola trasparente disponendovi un disco di pandispagna inzuppato di Maraschino allungato con un po’ di acqua tiepida; versarvi sopra la crema al caffè, facendo in modo che sia più alta al centro. Coprire con il secondo disco, bagnare con il Maraschino e spalmare la crema con le scaglie di cioccolato, facendo sempre attenzione che al centro ci sia più spessore affinchè possa assumere la caratteristica forma a cupola. Alternare i dischi di pandispagna bagnati di liquore e spalmati di crema al caffè o al cioccolato, ponendo infine l’ultimo disco irrorato di brandy e spalmando il tutto con la crema rimasta. Cospargere con i granelli prodotti con la crosta ed i biscotti e finire spolverando con altro zucchero a velo. Conservare in frigorifero prima di servire.

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PANDOLCE BASSO “ANTICA GENOVA”
“SCIASSO” O “BACICCIA”

Già al tempo degli antichi Egizi e un pò in tutto il mondo arabo, si usava arricchire i pani con l’uvetta. I Genovesi, popolo di navigatori, conobbero questi cibi durante il loro andar per mare e li portarono a casa dove, nei secoli, quelle antichissime ricette hanno subito diverse variazioni e golosi arricchimenti. Il pandolce genovese è un tripudio di ingredienti ricercati e preziosi, talvolta con varianti più o meno segrete, che ogni massaia ha sempre custodito gelosamente. A Genova, questo è il dolce della tradizione natalizia per antonomasia, veniva portato in tavola con un rametto di alloro dal più giovane dei commensali e tagliato dal più anziano della tavolata alla fine del pranzo di Natale.

Questa versione è più recente rispetto a quello alto fatto con il crescente, che richiede tempi di realizzazione decisamente più lunghi, è più veloce da fare perchè si tratta di una pasta frolla arricchita con frutta secca, canditi, finocchietto , pinoli , miele e marsala secco.

INGREDIENTI:

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PREPARAZIONE:
Inserire nella planetaria con frusta “K” la farina, il sale, il burro a temperatura ambiente, lo zucchero e sabbiare per un paio di minuti.
Mentre gira aggiungere l’acqua di fior d’arancio, il Marsala, le uova il miele, l’estratto di vaniglia, il limone grattato (solo la parte gialla). Lasciare amalgamare sebbene l’impasto risulti duro.
Aggiungere poco per volta il latte a temperatura ambiente controllando che non ammorbidisca troppo.
Mettere il gancio alla planetaria e impastare per 15 minuti, fino ad incordare leggermente.
Preparare la frutta: pinoli, finocchietto, canditi, uvetta. Mescolare bene e inserire nell’impasto distribuendo al meglio la frutta.
Inserire il lievito preventivamente passato nel colino. Impastare per un paio di minuti accertandosi che sia ben distribuito nell’impasto.
Tornire a sfera gli impasti suddivisi e schiacciare le sfere leggermente.
Infornare subito.
Forno statico: 180°C per 70 minuti
Forno ventilato: 160°C per 70 minuti
Per evitare che bruci il fondo dei pandolci è preferibile inserire sul piano inferiore del forno un foglio di alluminio per gli ultimi venti minuti.

Curiosità:
il “Pandolce” era tanto famoso da essere noto persino a Londra, dove ha finito per diventare, con qualche differenza, il “Genoa-cake”.

 
 

“DINÂ DA NUXE”
“DENARI DELLA NOCE”

Con una parte dell’impasto si possono fare dei piccoli pandolci da utilizzare come segnaposto sulla tavola di Natale, un’idea originale della tradizione genovese con l’antica denominazione del “dinâ da nuxe”.
In passato, durante il periodo natalizio, i panettieri usavano omaggiare i loro clienti più affezionati con questi mini pandolci chiamati appunto “dinâ da nuxe”.
Il nome risale al Medioevo, epoca in cui, a Natale, si usava regalare grandi quantità di noci che erano simbolo di abbondanza e fecondità. L’espressione “dinâ da nuxe” stava a significare una regalia in denaro che sarebbe servita per comprare le noci che, per tradizione, non dovevano mai mancare sulle tavole natalizie. L’usanza, unita al fatto che il denaro (“dinâ”) era la dodicesima parte del soldo, hanno dato così origine a questo modo di dire tipicamente genovese.

…e il poeta dice
Che bon pan – o pâ proprio ûn marzapan…
Li ghe drento du çetron – do fenoggio,
do vin bon,
pigneu freschi, e che zebibbo…
Martin Piaggio

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A MEGIO MEXINN-A A L’E’ O DECHEUTTO DE CANTINN-A
(La miglior medicina è il “decotto” di cantina)

I VINI DELLA LIGURIA

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La conformazione del territorio, i moltissimi microclimi e la particolare composizione dei terreni fanno della Liguria una terra da vino. La storia è antichissima e sembra avere inizio nei secoli VI – V a.C. con I Greci che, approdati su queste coste, diedero il via alla coltivazione della vite permettendo ai Liguri di acquisirne i primi rudimenti. Già nel Medioevo alcuni vini liguri pregiati, come quelli delle Cinque Terre o il Moscatello di Taggia, riscuotevano un grande successo a Roma e Londra, e in molti paesi del nord dell’Europa. Oggi, l’enologia ligure ha conquistato, seppur passando attraverso periodi di ombra, un ruolo importante nel quadro enologico nazionale, e questo per la grande qualità acquisita e la genuinità dei suoi vini.

Vini bianchi

VERMENTINO “Riviera Ligure di Ponente”

Prodotto con uva Vermentino, è di colore paglierino con riflessi verdolini. Ha un profumo delicato che ricorda, in alcuni tipi particolarmente fini, il cedro; il suo sapore è asciutto, armonico e sapido. Il Vermentino è un vino da pesce e delicate minestre come quelle tipiche liguri.
Gradazione alcolica: 12-13°. Servire a 10°C sul pesce e a 14-15°C sulle minestre.

VERMENTINO “Riviera Ligure di Levante”

Vino prodotto in molti comuni del Sarzanese con uve Vermentino. E’ di colore giallo paglierino scarico; ha un profumo piuttosto ampio, intenso e persistente, con sentori di frutta bianca matura, erbe e fiori di campo; ha un sapore secco ma morbido, è sapido e di buona struttura con un gradevole fondo amarognolo. Si accompagna ottimamente con pesce, frittelle di bianchetti e gnocchi al pesto.
Gradazione alcolica: 11-13°. Temperatura di servizio: 10°C.

CAMPOCHIESA

Prodotto in provincia di Savona con uve Pigato, Madera ed altre a bacca bianca. Questo vino è di colore giallo paglierino scarico ed ha un profumo tenue e delicato, un sapore asciutto, sapido e gradevole.
Dopo un moderato invecchiamento è un buon vino da pesce.
Gradazione alcolica: 11-12°. Temperatura di servizio: 12°C.

PIGATO “Riviera Ligure di Ponente”

Viene prodotto con l’uva del vitigno omonimo nelle provincie di Savona e Imperia. Il Pigato è di colore giallo paglierino scarico con lievi riflessi dorati; il suo profumo è intenso, ampio e persistente ma anche fine e fruttato; in bocca risulta caldo, secco, piacevolmente morbido e sapido con un gradevole fondo amarognolo. E’ un vino ideale con antipasti a base di funghi, primi piatti con salsa di noci e piatti di pesce di mare.
Gradazione alcolica: 11,5-13°. Servire a 10°C.

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BARBAROSSA

Esistono ben 4 varietà di questo vitigno, tutte coltivate in diversi comuni della provincia di Savona. Il Barbarossa si ottiene dal vitigno omonimo ed ha un colore che varia dal giallo ramato al rosa scarico, con riflessi rubino. Il suo profumo ricorda I fiori di campo, è ampio e persistente, intenso, fruttato e con lievi sentori di confetto e frutta candita.

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LUMASSINA

Prodotto con uva Lumassina, in diverse località della zona di Finale Ligure, in provincia di Savona.
E’ di colore giallo paglierino scarico con riflessi verdognoli; ha un profumo caratteristico, delicato e persistente, un sapore secco e particolarmente fresco, leggero, continuo e di facile beva.
Si accompagna ottimamente con la focaccia genovese, le frittelle di pesce, antipasti con maionese, sardine e sgombri, fritti o al verde.
Gradazione alcolica: 10-11,5°. Servire a 12-14°C.

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CORONATA

Ottenuto con uve Vermentino, Bosco, Bianchetta ed altre a bacca bianca. Ha un colore paglierino chiarissimo, un profumo delicato e fresco ed un sapore asciutto e gradevole. E’ un pregevole vino da pesce.
Gradazione alcolica: 11,5-12,5°. Temperatura di servizio: 8-10°C.

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CINQUE TERRE

Prodotto con uve Bosco, Albarola e Vermentino, nei comuni di Monterosso, Vernazza, Corniglia, Riomaggiore, Manarola ed in altri comuni della provincia di La Spezia. Il suo colore varia dal giallo paglierino scarico con riflessi verdognoli al paglierino carico tendente al dorato. Il profumo è delicato e persistente, ha sentori di erbe di campo e fiori di sambuco, leggermente salmastro con lievi note di liquirizia. In bocca risulta essere un vino di buona struttura, secco e abbastanza morbido, delicatamente caldo e con un fondo tipicamente amarognolo. Ottimo con I frutti di mare e pesce, è particolarmente indicato per accompagnare piatti a base di cozze, orata al cartoccio oppure al forno.
Gradazione alcolica: 11-13°. Servire a 10-11°C.

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Vini Rossi

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ROSSESE DI DOLCEACQUA

Questo vino prodotto nella provincia di Imperia, è ottenuto con uva Rossese; si presenta di colore rosso rubino, con un profumo di fragola delicato e sottile. Risulta in bocca asciutto e leggermente amarognolo. Ideale con risotti o paste al ragù di carne e funghi, con selvaggina e formaggi leggermente stagionati. Si presta ad un lungo invecchiamento, divenendo particolarmente pregiato.
Gradazione alcolica: 12-14°. Servire a 18-19°C.

ORMEASCO “Riviera Ligure di Ponente”

Vino ottenuto dal vitigno omonimo, che è sinonimo di Dolcetto. Viene prodotto in alcuni comuni della provincia di Imperia. E’ di colore rosso rubino carico con note violacee da giovane, diventa rubino intenso quando affinato moderatamente e diventa di un granato scarico con riflessi aranciati, se eccessivamente affinato. Da giovane il suo profumo è vinoso e fragrante, ampio e persistente se affinato, ricorda la ciliegia matura con lievi sentori di mora e violetta. Quando è giovane ha un sapore ruvido e asciutto; diventa caldo, sapido, in un perfetto equilibrio tra corpo, morbidezza e tannicità quando moderatamente invecchiato. Ottimo con paste ripiene e sughi di carne quando è giovane, ideale con selvaggina e formaggi stagionati quando affinato.
Gradazione alcolica: 11-13,5°. Temperatura di servizio: 18°C. Quando è affinato a lungo in bottiglia è consigliabile l’uso del decanter per la presenza di eventuali sedimenti.

ALICANTE

Prodotto nell’Imperiese con uva del vitigno Alicante; colore rosso rubino carico con riflessi granata; profumo intenso, ampio e persistente, si sentono spezie e frutti di bosco maturi; in bocca è caldo, asciutto, sapido e morbido. Accompagna bene carni bianche e rosse, selvaggina a piuma e formaggi stagionati. E’ un vino da bere dai due ai quattro anni.
Gradazione alcolica 12-14°. Servire a 18°C.
Nella provincia di Savona, in diverse località del comune di Quiliano, questo vitigno è anche conosciuto col nome di Granaccia. Si presenta di un rosso intenso con lievi riflessi violacei da giovane, diviene rubino intenso con riflessi granata quando adeguatamente affinato per tre o quattro anni. Da giovane ha un profumo vinoso e fruttato che si fa intenso e persistente, fine, con note di frutti di bosco maturi, spezie e sentori di bosco quando affinato al meglio. Ha un sapore piuttosto tannico e ruvido da giovane ma diventa un vino di corpo, asciutto, caldo e quasi vellutato quando affinato. Ottimo con filetto alla Wellington, con selvaggina e formaggi stagionati ma non piccanti.
Gradazione alcolica: 13-14°. Servire a 18-19°C.

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VALPOLCEVERA ROSSO

Prodotto in alcune località della Val Polcevera, a Genova, con uve Barbera. Questo vitigno piemontese fu introdotto in queste zone circa un secolo fa, in particolare nel comune di Morego. Ha un colore rosso rubino con orlo violaceo, da giovane; quando adeguatamente affinato diventa rubino con toni granati. Il suo profumo vinoso e pungente da giovane, diventa ampio ed intenso, con sentori di ciliegie e more mature, con un giusto affinamento. Giovane, risulta in bocca disarmonico e ruvido, affinato si fa sapido e asciutto, di buon corpo e delicatamente caldo. E’ un vino che accompagna bene le paste ripiene con sughi di carne, bolliti misti e carni di maiale.
Gradazione alcolica 11-13°. Temperatura di servizio: 18°C.

ARCOLA ROSSO

Prodotto nel comune di Arcola, in provincia di La Spezia, con uve Sangiovese, Canaiolo nero, Ciliegiolo, Massaretta, Merlot, Pollera e Vermentino nero. E’ di colore rosso intenso tendente al granato. Ha un profumo intenso e persistente, di melograno e con lievi note di resine di bosco. Il sapore è sapido, asciutto e continuo. Vino ideale con ravioli e cannelloni al sugo di carne e con il pollo arrosto.
Gradazione alcolica: 11-12°. Servire a 16-17°C.

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CANAIOLO NERO

Vino ottenuto con le uve del vitigno omonimo che vengono scelte ed appassite nel comune di Riomaggiore, nello Spezino. Di colore rosso cupo con note violacee, ha un profumo ampio, intenso e persistente dove si sentono prugne e more con lievi toni di viola. E’ un vino di corpo, dal sapore dolce e caldo con una sottile vena tannica. Lo si abbina con torte di frutta secca ed è ottimo con le pere al vino rosso. E’ ideale berlo dai due ai quattro anni.
Gradazione alcolica: 13,5-15°. Temperatura di servizio: 13-14°C.

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VIVA L’ITALIA

E’ una limitatissima produzione del Sarzanese, ottenuta con le uve dei vitigni Sangiovese, Bonamico e Ciliegiolo. Questo vino dal colore rosso rubino carico con toni violacei, ha un profumo ampio e persistente, vinoso e fruttato, con sentori di mora e mirtillo. Ha un sapore dolce e delicatamente morbido, sapido e abbastanza continuo. Ottimo con crostate ai frutti di bosco e con le pere al forno. E’ bene berlo giovane, non oltre i diciotto mesi.
Gradazione alcolica: 13-14°. Servire a 12-13°C.

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