I Tartufi
Il tartufo è il sogno proibito dei buongustai, un ingrediente prezioso per le occasioni speciali. Ha ottime proprietà rimineralizzanti e antidepressive, ed ha leggendari poteri afrodisiaci dei quali già nel ‘400 se ne parlava nei trattati gastronomici dell’epoca.
Il suo nome latino (tuber) può trarre in inganno ma il tartufo è di fatto un fungo ipogeo, vale a dire che compie il suo ciclo vitale sotto terra. Il suo valore non è tanto nel suo apporto alimentare, ma nella sua enorme capacità di produrre piacere nel fruitore.
Dal mito alla storia
Esaltato come cibo divino dagli antichi ateniesi, considerato sterco del diavolo e delle streghe in epoca medievale. Causa di apoplessia e di paralisi secondo Avicenna che sosteneva generasse umori atrabiliari e grassi , “cibo molto nutriente…ed eccitante della lussuria” per il Plàtina. Avvolto nel dilemma se pianta o animale, ma anche sinonimo di ipocrisia, d’impostore, perché nell’aspetto terroso si contrappone un profumo inebriante, come brillantemente stigmatizza Molière nella sua commedia. Sprigiona sensazioni di miele, aglio, fieno e terra bagnata. Per i filosofi e per gli storici dell’antichità il tartufo fu oggetto di costante e vivida curiosità, accendendo dispute ed ipotesi, alle quali non si sono sottratti neppure pensatori di nota austerità, come il Savonarola.
La storia del tartufo affonda le sue radici in epoche talmente remote da rendere difficile, alle volte, distinguere ciò che è riconducibile a realtà e ciò che è frutto di leggende o della fantasia.
Le prime notizie certe su questo pregiato prodotto della terra si rintracciano nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. Risalendo ad epoche più remote, pare certo che già tremila anni prima di Cristo i Babilonesi conoscessero questo pregiato fungo. Si sa per certo, poi, che i greci usavano i tartufi nella loro cucina. A proposito di greci, il filosofo Plutarco di Cheronea tramandò l’idea, nel secolo dopo Cristo, che il tartufo nascesse dal combinarsi di acqua, calore e fulmini. Non era la sola, questa, di leggenda che circolava nell’antichità circa il tartufo. I pagani, ad esempio, certi del suo potere afrodisiaco lo dedicarono a Venere. Oppure, altra delle tante leggende, si credeva che nel tartufo fossero contenuti veleni letali. Ad ogni modo, leggende a parte, già dall’antichità il tartufo era molto ricercato, il suo prezzo di conseguenza, era elevatissimo e la sua presenza sulla tavola era indice di nobiltà e potenza di chi l’offriva.
Nel medioevo e nel periodo rinascimentale le conoscenze sul tartufo non fanno grandi progressi, pur rimanendo esso un cibo sempre apprezzato, soprattutto nelle mense dei nobili ed alti prelati. La sua riscoperta si ha nella modernità; ma data fondamentale è il 1831, anno della pubblicazione, da parte di Carlo Vittadini, della monografia “Tuberacearum”. Con quest’opera Vittadini getta le basi dello studio moderno del tartufo; egli descrive qui, in maniera sistematica e fondata su criteri scientifici, la maggior parte delle specie di tartufo, tanto che molte portano il suo nome (Tuber Melanosporum Vittad.; Tuber Aestivum Vittad.; Tuber Borchi Vittad.; Tuber Brumale Vittad.).
Un altro nome da prendere in considerazione quando si parla di storia del tartufo è quello di Giacomo Morra, albergatore e ristoratore di Alba. Nel 1929 egli decise di pubblicizzare il tartufo bianco pregiato all’interno della già nota Fiera di Alba ed ottenne un grandissimo successo, tanto da fargli ottenere un’eco internazionale e da far divenire il tartufo una costante nelle fiere vendemmiali.
Nel 1933, a testimonianza del sempre maggior interesse verso il tartufo, la Fiera d’Alba divenne Fiera del Tartufo. In seguito, inoltre, Morra intuì la possibilità di rendere il tartufo un oggetto di culto a livello internazionale, chiamandolo “Tartufo d’Alba” e collegandolo ad un evento di richiamo turistico ed enogastronomico.
Nel 1949, con un’altra brillante idea, Morra decise di regalare il miglior tartufo raccolto in quell’anno all’attrice Rita Hayworth. Da allora, questo gesto divenne “un’abitudine”: da Harry Truman a Winston Churchill, da Sofia Loren ad Alfred Hitckcok, per citare alcuni dei personaggi che ricevettero da Morra questo prezioso dono.
Il Conte Camillo Benso di Cavour utilizzò il tartufo come mezzo diplomatico, Lord Byron lo teneva invece sulla sua scrivania perché il suo profumo gli destasse la creatività.
La storia della tartuficoltura
La tartuficoltura è un’attività agricola di estremo interesse per l’Italia, il cui territorio presenta ampie zone vocate allo sviluppo delle specie pregiate di tartufo. Si ricorda, tra le specie più pregiate a livello mondiale, il Tuber Melanosporum Vitt. e il Tuber Magnatum Pico, “dono” quasi esclusivo di alcune regioni d’Italia come il Piemonte, l’Emilia Romagna, le Marche, la Toscana, l’Umbria l’Abruzzo, Il Molise e la Calabria.
I tentativi nazionali di coltivazione sperimentati in passato si riferiscono solo al Tuber Melanosporum, probabilmente perché trattasi della specie più facile ad individuarsi grazie alla formazione del cosiddetto “pianello” o “cava”.
Le prime notizie sui tentativi di coltivazione del tartufo nero nell’Italia centrale risalgono al secolo scorso, quando un certo signor Pietro Fontana, di Spoleto, consigliava di interrare i tartufi più piccoli in prossimità di piante di quercia e di leccio. Tuttavia, l’origine della tartuficoltura moderna si deve a Mannozzi-Torini (1956), ricercatore che ideò e mise a punto un metodo di produzione delle piante micorizzate. Si tratta di alberi tartufigeni con i quali il tartufo instaura rapporti di scambio di sostanze nutritive. Questi scambi avvengono a livello delle micorizze che sono costituite dalle fini terminazioni delle radici dell’albero avvolte e compenetrate dal tessuto del fungo (micelio). Proprio grazie a tali metodologie di coltivazione, nel ventennio compreso tra il 1955 ed il 1975, furono messe a dimora innumerevoli piante micorizzate in molteplici impianti, con risultati non completamente noti.
Negli ultimi trent’anni si è verificato un notevole impulso alla coltivazione dei tartufi, passando da attività di sperimentazione piuttosto empiriche ad una tartuficoltura effettuata su basi scientifiche.
Grazie alle ricerche sull’ecologia e sulla biologia dei tartufi pregiati ed al miglioramento delle tecniche di produzione delle piante tartufi gene, è stato possibile impiantare tartufi utilizzando un buon materiale vivaistico in siti con caratteristiche pedoclimatiche idonee alla specie di tartufo coltivata.
Più problematica risulta la coltivazione del Tuber Magnatum, che viene effettuata solo in Italia e che sta dando risultati contrastanti. La coltivazione del Tuber Aestivum Vitt., del Tuber Mesenticorum Vitt., e del Tuber Albidum Pico, è stata introdotta solo di recente, ma i primi risultati non possono essere considerati scientificamente attendibili.
Come scegliere i tartufi
Suggerimenti del Centro Studi del Tartufo di Alba per ottimizzare l’acquisto di questo prezioso fungo.
1) Consultare fonti attendibili per vedere l’andamento del mercato (es. il sito www.tuber.it)
2) Accertarsi che la specie sia quella richiesta
3) Controllare che i buchini non siano pieni di terra
4) Controllare che il tartufo non sia infarinato con la farina di mais per alterarne il colore
5) Controllare che il fungo sia piacevole all’olfatto in ogni suo punto
6) Controllare il grado di maturazione
7) Controllare il livello di pulizia
8) Controllare che l’esemplare non sia stato ricostruito
La conservazione
I tartufi devono essere riposti senza essere puliti, ma avvolti singolarmente in una carta porosa e assorbente in un barattolo di vetro. E’ bene cambiare la carta piuttosto spesso e conservarli in frigo nel ripiano più basso, solo così è possibile mantenere le sue virtù aromatiche per alcuni giorni.
In cucina
Grande è la differenza fra il tartufo bianco e quello nero: il primo si consuma crudo, tagliato a fettine, il secondo ha bisogno di essere scaldato; sprigiona il meglio di se quando è portato almeno a 50°C.
In cucina il tartufo bianco esalta il sapore dei cibi, si abbina bene con carni, verdura, formaggio e paste ed è grande con l’uovo al tegamino. Quello nero è ottimo nelle paste ripiene, o anche nelle frittate, nei risotti o in una zuppa.
Le ricette
Tortino di patate, fonduta di Castelmagno e tartufo nero (Chef Marco Guandalini)
Lessare le patate Quarantine, schiacciarle e montarle con rosso d’uovo e parmigiano. Aggiungere le chiare montate a neve, sale e pepe. Stendere il composto in una pirofila e cuocere in forno a 180°C per 20 minuti. Fare una fonduta di Castelmagno nel latte a bagnomaria, con qualche briciola di tartufo nero. In un piatto mettere la fonduta, quindi il tortino e da ultimo con il tartufo.
Uovo al gratin con fonduta di Montebore e tartufo bianco (Chef Fabrizio Rebolini)
Cuocere l’uovo a bagnomaria in una ciotolina monoporzione. La cottura dura tre minuti e trenta secondi. Preparare una fonduta con formaggio Montebore e panna cuocendo a bagnomaria e legandola alla fine con del rosso d’uovo. Servire l’uovo con la fonduta e gratinare il tutto in forno per qualche minuto. Aggiungere il tartufo tagliato a lamelle molto sottili.
Il tartufo e le sue specie
I periodi di raccolta
Tuber Magnatum Pico (bianco pregiato) – Dal 15 settembre al 31 dicembre
Tuber Melanosporum (nero pregiato) – Dal 15/20 novembre al 31 marzo
Tuber Aestivum (scorzone) – Dal 1° maggio al 30 novembre
Tuber Aestivum Uncinatum var. (uncinato) – Dal 1° ottobre al 31 dicembre
Tuber Mesenticorum (nero ordinario) – Dal 1° settembre al 31 gennaio
Tuber Brumale (nero d’inverno) – Dal 1° gennaio al 15 marzo
Tuber Brumale Moschatum var. – Dal 15 novembre al 15 marzo
Tuber Macrosporum (nero liscio) – Dal 1° settembre al 31 dicembre
Tuber Albidum o Borchi (bianchetto) – Dal 15 gennaio al 30 aprile
Il periodo di raccolta è piuttosto lungo e se si escludono i mesi di maggio e giugno, nei quali i ritrovamenti sono sporadici, è possibile andare per tartufi tutto l’anno.
Ogni tipo di tartufo presenta un proprio periodo di raccolta regolamentato per legge. Rispettare il periodo consente di raccogliere il tartufo nel momento di piena maturazione evitando di asportare i fioroni (esemplari precoci di scarsa qualità, solitamente parassitati e poco durevoli, ma ricchi di spore) indispensabili per la riproduzione e formazione di nuove tartufaie.
Dati tecnici
Composizione Tuber Melanosporum e Magnatum Pico
Acqua, oltre l’80% (82,58 – 82,80)
Ceneri, 2% (1,97 – 1,70)
Azoto totale, o,1% (0,88 – 0,87)
Azoto non proteico, 0,20% (0,23 – 0,14)
Proteine, 4% (4,13 – 4,50)
Lipidi, 2% (2,08 – 1,90)
Glucidi solubili, 0,30% (0,36 – 0,17)
Fibra alimentare, 8% (8,43 – 8,13)
Negli elementi minerali di entrambi prevale il potassio, seguito da calcio, sodio, magnesio, ferro, zinco e rame.
Curiosità
Complessivamente in Italia si producevano alla fine del secolo scorso qualcosa come 107.600 kg di tartufi per un valore complessivo di lire 1.374.125.000, molto inferiore al fatturato francese.
Il Centro-Europa è stato per due millenni il centro del commercio del tartufo, ma questo fungo ha una grande storia d’uso anche in altre culture: i tartufi del deserto (Terfezie) dell’Asia occidentale e del Nord Africa sono stati apprezzati dai nomadi e dagli stanziali sin dalle epoche preistoriche; nel Kuwait durante le buone annate le terfezie giungevano nelle città dei deserti limitrofi; l’uso del tartufo in Asia è stato poco documentato: la medicina tradizionale cinese sembra non includere il fungo ipogeo anche se esso è molto diffuso in alcune parti della Cina; in Giappone era famosa una zuppa fatta con i tartufi; studi condotti nell’Oregon, hanno indicato che gli indigeni americani dovevano conoscere i tartufi ma sembra non ne facessero uso. Oggi il tartufo bianco dell’Oregon (Tuber Gibossum) gode di una certa importanza culinaria ed è ben conosciuto presso i membri della “Società Nord America Del Tartufo”
Di notevole interesse sono i risultati ottenuti da uno studio condotto dal Dipartimento di Scienze Ambientali dell’Aquila, in collaborazione con l’Agenzia Regionale Tutela dell’Ambiente dell’Abruzzo hanno evidenziato la scarsa attitudine dei tartufi al bioaccumulo di metalli pesanti. A differenza di quanto emerso in molti alimenti di origine vegetale e funghi considerati ottimi commestibili, ammessi al commercio dalla vigente normativa, e per i quali le analisi hanno dimostrato una spiccata capacità di bioaccumulo di metalli pesanti e radionuclidi, i tartufi sembrano non avere questa caratteristica.
Glossario
Tuber Magnatum Pico (bianco pregiato) – E’ il pregiatissimo tartufo bianco di Alba o di Acqualagna, ha un profumo e un sapore inconfondibile. Si trova solo in Italia.
Tuber Melanosporum (nero pregiato) – E’ il tartufo nero pregiato. Si trova soprattutto in Italia, Francia e Spagna. Del Melanosporum in cucina si usa anche la buccia (peridio).
Tuber Borchi (Bianchetto) – Detto anche Bianchetto. Di forma appiattita e irregolare, è reperibile tutto l’anno e si trova anche in America, in Australia e ora anche in Cina.
Tuber Aestivum ( Scorzone)) – E’ il tartufo nero comune, meglio noto come Scorzone.
Peridio – E’ la parte esterna del tartufo. Può essere liscia e di colore chiaro, come nei tartufi bianchi, oppure ruvida e scura, come quella dei tartufi neri.
Gleba – E’ la parte interna, di colore variabile dal bianco al marrone, al grigio, al rosa, al nero.
Trifulau – In dialetto piemontese, il cercatore di tartufi, chiamate “Trifule” o “Trifure”. Opera con un cane addestrato alla ricerca, ma anche con i maiali, come in Umbria.